In tanti anni di discorsi a tema “scienza e fede” avrò sentito decine di volte queste affermazioni :“Essere atei significa credere con certezza che Dio non esista!” o “La posizione più corretta è l’agnosticismo, perché non si può dimostrare né che Dio esista e nemmeno che Dio non esista!”.
Sono entrambe sbagliate! PREMESSA: ciò che dirò ora e qui non ha assolutamente lo scopo di affermare che sia stupido credere o che sia falso che Dio esista o altro. La nostre posizioni in merito alle verità della vita possono vertere su diversi cardini e non tutte sono solo razionali, per cui è una cosa del tutto umana credere in certe cose e – per carità – non è nemmeno da stupidi o altro… le posizioni di fede sono posizioni di fede, però. E nel dire questo, però, pongo un limite: non è vero che si sia più intelligenti se ateo o più stupidi se credenti, ma certamente alcune posizioni bigotte (invece) e tendenti alla fede popolare sono sicuramente descrittive della popolazione in se: scarsamente colta in termini di razionalità e scienza, spesso tendente al superstizioso e complottista. Ma non è un problema di tutti i credenti in assoluto. Ora però vorrei concentrarmi sulle questioni sollevate.
Essere atei significa per forza credere che Dio non esista? A questa domanda prima bisognerebbe far seguire anche una definizione di Dio; perché se si usa il temine “Dio” in senso così generico può significare tutto e nulla e quindi per alcune concezioni si potrebbe dire razionale crederci e per altre si potrebbe dire irrazionale; di conseguenza persino l’ateo più convinto potrebbe trovarsi davanti ad una definizione a cui crederebbe (detto altrimenti, se per Dio intendi il ferro da stiro “Roventa”, certo che ci credo e sarebbe uno psicopatico uno che affermasse “per me i ferri da stiro non esistono!”). Se lo intendiamo genericamente come una divinità personificata (ossia dotata di intelletto, volontà, ecc..) ecco, in quel senso è sicuramente possibile fare un discorso ampio. Ora, la posizione di ATEO nei confronti di questo concetto è variegata. “ATEO” deriva dal greco e la “A” privativa indica l’assenza di ciò che segue (TEO=Dio); indica chi è senza Dio. Ma essere senza Dio può significare tantissime cose.
In passato ed in alcune culture, è vero, si ha avuto a che fare con il concetto di “ATEO” come di chi negava con forza e certezza l’esistenza di qualsiasi divinità. Ma le culture cambiano. Se è per questo anche il concetto di “agnostico” nasce in modo diverso: il termine fu coniato da Thomas Henry Huxley (soprannominato “il mastino di Darwin”, il principale sostenitore dell’evoluzionismo darwiniano nell’infuocato dibattito che seguì la pubblicazione dell’Origine delle specie nel 1859 ); egli osservava come tanti dicessero di sapere che esistesse Dio, chi fosse, cosa volesse… e lui tutta questa “gnosi” non la aveva, era “agnostico”! Io non avere motivo di credere è essenzialmente il punto di incontro tra ateismo ed agnosticismo, che quindi convergono spesso in punti in comune. Essere agnostici, se si è razionali non converge in una indecisione, infatti, ma in una inconsapevolezza di avere certezze, il che non implica uno sbilanciamento sul piano della probabilità. Infatti il problema è che quando si parla di esistenza, parliamo di “realtà” e li le cose si complicano, come vedremo. Non a caso, esistono oggi così tanti tipi di modi di porsi, che sono state categorizzate alcune di esse come forme di ateismo ed agnosticismo; l’ateismo razionale agnostico, tra queste, resta la posizione più razionale. C’è poi l’ateismo gnostico, quello pratico, quello forte, ecc.. E l’agnosticismo probabilista sposa la posizione dell’ateismo razionale gnostico, anche detto “ateismo debole”. Ma quale sarebbe tale posizione? E’ la posizione di chi afferma che un dio personificato può SI esistere, ma è altamente improbabile che esista.
E qui si cade sulla seconda affermazione introdotta all’inizio: “non si può dimostrare né che Dio esista e nemmeno che Dio non esista!”. Questa affermazione, apparentemente corretta è, in realtà scorretta. Diciamo che spesso si confonde la prova con la dimostrazione. Nel campo del reale dimostrare in modo certo qualcosa non è possibile. Io posso provare la validità delle leggi di Newton… Newton lo fece. Quattrocento anni dopo alcune oscillazioni nel movimento di un satellite di Giove misero in crisi la sua teoria e ci si accorse che era sbagliata. Ma che cosa vuol dire che era “sbagliata”? In ambito scientifico significa semplicemente che la approssimazione con cui si riteneva valida quella legge era da rivedere (non era negabile che quella legge continuasse a fare previsioni attendibili in molte altre circostanze), quindi non del tutto sbagliata ma nemmeno per assoluto giusta. In realtà, si può solo dire che per assoluto è sbagliata, ma che l’errore che commette in molte circostanze è talmente piccolo da essere trascurabile. Esiste una legge più generale infatti, oggi lo sappiamo, che descrive meglio tutti questi casi e sembra non commettere errore rilevabile (la relatività ristretta), ma – nonostante questo – continuiamo ad usare le leggi di Newton per calcolare molte cose in molti ambiti (per esempio, la circolazione dei treni, il traffico aereo, ecc), anche perché le leggi della relatività ristretta richiedono calcoli più complessi che non sono giustificati dalla differenza di risultato in termini di margine d’errore; la differenza tra il risultato che otteniamo con legge di Newton e quello che otteniamo con la relatività ristretta in questi casi è talmente bassa che i due risultati sembrano coincidere. Non avrebbe quindi senso usare le leggi Einstein, per ottenere lo stesso risultato facendo i calcoli in modo più complesso, il che implica maggiore difficoltà, maggiore rischio di commettere un errore di calcolo, eccetera eccetera eccetera. E le leggi della relatività ristretta di Einstein le applichiamo in altri ambiti invece, dove effettivamente le condizioni necessitano di questa maggiore precisione, perché il margine di errore si fa sostanziale. Tuttavia, anche essendo in possesso di questa, che è una teoria molto più precisa ed accurata che descrive la realtà – almeno per la parte che descrive – in modo preciso e – apparentemente almeno – senza margini di errore, potremmo un domani scoprire che anche la teoria di Einstein non è sufficientemente accurata; anzi è probabile, dato che esiste sono dei problemi di compatibilità di questa teoria con la meccanica quantistica, la quale anch’essa è una teoria estremamente complessa ed accurata dal punto di vista matematico e dà dei risultati le cui misurazioni sono corrette. Di conseguenza, è probabile che esista la possibilità di realizzare una teoria più estesa e completa che descriva in maniera ulteriormente accurata la realtà (ed è molto tempo che si cerca una di trovare teoria unificata). Ma la cosa più interessante è che noi riusciamo semplicemente a partire da ciò che possiamo osservare e misurare, costruiamo delle teorie e da esse deduciamo delle conseguenze verificabili e che siano tali che se non dovessero confermare la teoria finirebbero per dimostrarla falsa (falsificazionismo); quando invece la teoria risulta verificata continuiamo ad effettuare esperimenti per confermarla, la ricerca di potenziali errori e intanto costruiamo altre teorie nello stesso modo basandoci su ciò che conosciamo e che abbiamo già provato vero e su altre cose che vediamo. Ma ciò che otteniamo è soltanto un modello che descrive quello che è il comportamento che al momento possiamo osservare, nel campo del reale, della nostra teoria; non possiamo però sapere se esiste una teoria più generale che ci descrive il mondo in modo tale da stravolgere addirittura quello che oggi misuriamo con la nostra teoria, sia pur confermando il fatto che il mondo si comporti in modo da confermare questa teoria in questo momento; detto in termini più semplici, non abbiamo nessuna certezza matematica che domani a mezzogiorno improvvisamente la gravità non smetta di essere come è ora e magari le cose inizino a fluttuare. O che improvvisamente stasera alle 20:00 il campo di Higgs si dismetta quindi si venga a perdere quella struttura che consente all’universo di esistere. Non c’è nessuna certezza matematica che improvvisamente non si generi un buco nero in un qualche punto della terra che ci risucchi tutti. Certezze in scienza non ce ne sono! Il metodo razionale di osservazione e di comprensione del mondo ci insegna che le certezze nel campo del reale non esistono. In matematica, in geometria, si può dimostrare qualcosa ma semplicemente perché la dimostrazione in matematica presume l’esistenza di assiomi che noi possiamo dare per veri in relazione alla dimostrazione (“assumiamo che sia vero che” e procediamo alla dimostrazione, od “in un piano euclideo in cui bla bla” e procediamo alla dimostrazione); Ma nessuno pretende di verificare l’esistenza di un triangolo rettangolo nel campo del reale. Un triangolo rettangolo è una figura ipotetica che nel campo del reale non può essere probabilmente trovato in modo preciso, al massimo esistono delle approssimazioni (anche perché lo spazio tempo sembra essere composto da unità discrete, mentre lo spazio della geometria sembra essere composta regola per la maggior parte della geometria, da unità continue ed infinitesimali)… Nessuno al mondo ha mai visto un vero triangolo rettangolo. Sono figure che abbiamo immaginato nella nostra testa, che esistono in spazi ipotetici da noi immaginati, che però trovano dei riscontri in delle approssimazioni nel nostro mondo (Non troveremo dei piani euclidei perfetti, però entro un certo limite di approssimazione si può parlare di un piano che sembra avere (ma molto grezzamente) quasi le caratteristiche di un piano euclideo (ripeto, con moltissima approssimazione) e con la stessa approssimazione possiamo individuare su un piano come questo un triangolo e di conseguenza possiamo far valere le leggi del triangolo rettangolo ottenute in geometria in quella approssimazione nel campo del reale e possiamo verificare con delle misurazioni se questa applicazione fornisce delle previsioni attendibili delle misurazioni che faremo; abbiamo osservato che, fino a oggi (perché domani non si sa) le misure sembrano riscontrare che l’applicazione delle leggi della geometria al mondo reale forniscono previsioni attendibili di precisione commisurata alla approssimazione con cui si rapporta il contesto che si vuole misurare nel campo del reale con il contesti ipotetico del campo della geometria. Ma nel campo del reale non ci sono affermazioni certe, se non su ciò che abbiamo già misurato e che valeva nell’istante in cui lo abbiamo misurato. Non abbiamo neanche nessuna prova che improvvisamente le leggi dell’aerodinamica non smettano di funzionare e gli aerei cadano di colpo. Non c’è dimostrazione possibile che questo non accada. Non esiste modo di dimostrare con certezza niente nel campo del reale, si deve imparare a vivere accettando l’incertezza! Ora però, il fatto di vivere nell’incertezza non significa vivere nel costante dubbio e nel costante terrore che tutte le nostre convinzioni cadano di colpo e il mondo si trasformi in un caos indemoniato. Seppur non si abbiano certezze su nulla e seppur si debba essere pronti ad accettare la sorpresa di una legge che credevamo corretta e che invece si scopre non corretta, oppure di una verità che ritenevamo granitica e poi si riscopre farraginosa, abbiamo a nostro supporto la probabilità: è vero che domani a mezzogiorno potrebbe improvvisamente smettere di funzionare la gravità (potrebbe capitare se la legge generale che definisce la gravità fosse tale da descrivere un comportamento in relazione al tempo tale che dall’istante di domani a mezzogiorno questa legge avrebbe dovuto comportarsi in altro modo, pertanto la nostra legge sarebbe il risultato di misurazioni fatte in un tempo in cui ancora non era sopraggiunto questo parametro della legge reale e globale della gravità e di conseguenza non ci saremmo mai accorti che la nostra legge è sbagliata) ma senza possedere prove che questo debba accadere domani, la cosa può sì accadere, ma è altamente improbabile. E questo è il motivo per cui noi stiamo, relativamente, tranquilli. Si tratta del principio di parsimonia, conosciuto anche come rasoio di Occam, che è alla base dell’approccio razionale e scientifico: se non si posseggono delle prove che ci inducono a cambiare i nostri modelli su ciò che sappiamo, ci si ottiene ha soltanto ciò che è stato provato. Ogni affermazione aggiuntiva sul mondo, basata su cose non provate, complica il mondo (come lo complicherebbe la nostra affermazione sulla gravità che sarebbe descritta da una teoria più generale che specifiche come la teoria meno generale da noi usata smetterà di funzionare domani a mezzogiorno) complica il modello a nostra disposizione. Un modello più complesso è automaticamente più improbabile. Ovviamente, un modello più complesso può essere accettabile davanti a delle prove che inducono ad abbracciarlo, come accadde per le oscillazioni del satellite di Giove, che fecero mettere in discussione la assolutezza della legge di Newton, poi le misurazioni di Michelson e Morley che portarono Einstein alla affermazione della sua teoria, alla demolizione del concetto di etere, ecc… In questo senso, è innegabile che esistano domande senza risposta al mondo, ma qualunque risposta che preveda variabili arbitrarie aggiuntive complica il modello, rendendolo più complesso e dunque più improbabile, a meno di non avere prove di tali affermazioni, prove che devono essere però tali da essere stringenti, non interpretabili sul piano di modelli meno complessi, perché altrimenti siamo al punto di partenza. In questo senso i latini dicevano “è chi afferma che deve dimostrare!“. Dio – inteso come un’affermazione specifica di una specifica religione, di una specifica fede, inteso come divinità personificata, eccetera eccetera eccetera – è una affermazione che complica il modello ed è per questo che servono prove stringenti che esso esista. Altrimenti, certo, è razionalmente comunque possibile che esista la divinità di quella specifica affermazione, ma non è una affermazione probabile; al contrario é una affermazione altamente improbabile: viola il principio di parsimonia! Ecco perché l’ateismo, così inteso (ovviamente), è la visione più razionale della vita. Tuttavia, per carità, esistono anche altri approcci alla ricerca nel campo del reale che non fanno uso solo unicamente del piano razionale per confermare le proprie idee. Bisogna però essere coscienti che ogni altro approccio è per definizione irrazionale.
Va poi chiarito che la maggior parte delle nostre scoperte nasce dall’intuito che è irrazionale per definizione e che non tutto ciò che è vero si possa poi provare. Ma è davvero importante, essendo credenti o meno, avere chiari i pesi razionali ed irrazionali del proprio ragionamento. Da li poi dobbiamo ricordare che nessuno di noi ha la verità in tasca!
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22 Dicembre 2023